Jan Van Eyck
JAN VAN EYCK (Maastricht? 1390? – Bruges 1441)
Questo pittore, del quale non si conoscono con certezza né il luogo, né l’anno di nascita, fu l’artefice di una rivoluzione totale nella pittura fiamminga. Attento osservatore della realtà che lo circonda, la riproduce con amore e fedeltà illuminandola con una luce immobile, trascendente, in uno spazio definito dalla prospettiva aerea. La luce esalta i dettagli del dipinto, ogni più piccolo particolare viene ben definito: l’erba e i fiori del prato, i gioielli della Vergine, i tessuti preziosi che ammantano i Santi, sono descritti con amore perché sono testimonianza della creazione divina o opera degli uomini, che sono anch’essi creazione divina. La composizione obbedisce a schemi ancora medioevali, i contenuti sono profondi, carichi di spiritualità e di simbolismo, forse elaborati insieme ai colti canonici delle cattedrali per le quali Van Eyck eseguì, dietro committenza privata, alcune delle sue opere più importanti.
In seguito a recenti e approfonditi studi sulla storia e sulla cultura bizantina, che hanno finalmente sollevato quel velo che per secoli ci ha impedito di misurarci con l’antico Impero d’Oriente, e sulla base di una riflessione profonda sulle caratteristiche dell’arte fiamminga, prima fra tutte la ieraticità, si è potuto rilevare quanto sia stata grande, proprio a partire dalle opere di Van Eyck, l’influenza dell’arte bizantina sull’arte fiamminga. La spiritualità e l’atemporalità, come la fissità dei volti, connotano tutte i dipinti di Van Eyck, e da lui vengono trasmesse ai contemporanei e successori, insieme all’ l’iconografia di chiara derivazione orientale, a partire dalla “Imago Christi”, ai ritratti simili ad icone, alla grande “Deesis” del Polittico di Gand e alla “ Madonna nella Chiesa”, protettiva e imponente come una ”Odigitria”.
In realtà, al tempo di Van Eyck, che lavora prima per il Conte Giovanni di Baviera, signore d’Olanda e Zelanda, e dal 1425 per il duca di Borgogna Filippo III il Buono, avvengono contatti diretti fra Francia, Borgogna e Bisanzio, sono gli anni nei quali gli imperatori bizantini vengono in Europa a cercare invano l’aiuto dei principi europei contro l’avanzata dei Turchi Ottomani. Arriva per primo, dal 1399 al 1403, il grande basileus Manuele II Paleologo, raffinato teologo e filosofo, di lui ci è rimasto un ritratto in una miniatura dei fratelli De Limbourg. Egli arriva via mare a Venezia, si reca anche in Inghilterra, intrattiene rapporti con Spagna e Portogallo, ma più a lungo si ferma solo in Francia dove i suoi colti dignitari e i suoi filosofi mostrano e offrono i loro codici antichi ai nobili francesi. Dai sovrani europei ci furono solo promesse vaghe e qualche aiuto in denaro, ma dalla Francia partirono per Costantinopoli uomini d’arme e dalla Borgogna partirono forse lo stesso duca Giovanni Senza Paura e, a distanza di anni, il figlio Filippo il Buono.
E’ certo che Van Eyck compì molti viaggi per conto del duca Filippo III, dal quale era stato nominato “varlet de chambre”, titolo che lo metteva nella condizione di pittore di corte, di grande dignitario, con appannaggio annuale e riconoscimento di grande autonomia anche nel ricevere commissioni da altri committenti. E’ ben noto il viaggio degli anni 1428 – 1429 in Portogallo per ritrarre la futura sposa del Duca, Isabella; per lui fece anche misteriose spedizioni diplomatiche, coperte da “pellegrinaggi” in sostituzione del Duca. Questo pittore, cartografo e “scienziato”, arrivò certamente in Boemia, in Russia, forse anche a Bisanzio e a Gerusalemme. Sono viaggi non documentati, ma da intendere attraverso le assenze del pittore dalla Borgogna e dalle Fiandre, dai congrui pagamenti ricevuti dei quali non è ben indicato il motivo, e dalla lettura dei suoi dipinti nei quali si riflette l’arte di Magister Theodoricus che lavorò a Praga e nel vicino castello di Karlstein, qualche decennio prima di lui, e del grande Andrei Rubliev, quasi suo coetaneo, che realizzò splendide icone per le chiese di Mosca e per i grandi monasteri russi. In più, nei dipinti di Van Eyck appaiono anche elementi naturalistici che testimoniano la sua conoscenza del paesaggio e dei colori che potevano appartenere solo al mondo mediterraneo, e la rappresentazione di montagne “inazzurrate”, sullo sfondo di alcune tavole dell”’Agnello Mistico” di Gand, e delle “Stigmate di San Francesco”di Philadelphia, potrebbe far pensare anche ad un suo viaggio in Italia.
Van Eyck si servì di una tecnica pittorica di altissimo livello a partire dal disegno sottostante che è stato, in anni non lontani, rivelato e studiato attraverso indagini scientifiche. Jan Van Eyck non fu l’inventore della tecnica della pittura ad olio come lo dichiara il Vasari (che lo chiama Giovanni di Bruggia), ma è certamente colui che la perfezionò con il sapientissimo uso dei pigmenti e dei leganti. E nei dipinti di questo grande artista la ricchezza cromatica, fatta di contrasti di colori puri e vibranti, e l’armoniosa eleganza della struttura compositiva, corrispondono visivamente all’armonia e alle vibrazioni della musica polifonica che, a Bruges, permeava e arricchiva la vita della città, sottolineandone ogni momento dalle cerimonie civili, a quelle liturgiche, ai festosi banchetti e ai cortei.
A Jan viene sempre contrapposta la personalità, attualmente messa in dubbio, del fratello maggiore Hubertus, quando da antichi documenti risulta invece l’esistenza di un fratello di nome Lambert, forse anch’egli pittore. Nell’atelier di famiglia lavorava anche una sorella, Margareta.
Jan Van Eyck non ha lasciato molte opere, ma sono tutte di qualità straordinaria. Forse iniziò, secondo la tradizione fiamminga, come pittore miniaturista e a lui sono attribuite alcune delle bellissime miniature chiamate “Le Ore di Torino e di Milano”, del Museo Civico di Torino, dipinte per il Duca di Berry. Una parte di queste miniature andò distrutta nell’incendio della Biblioteca Nazionale di Torino, nel 1904.
Nel periodo iniziale della sua attività realizzò, presso la corte del Conte di Baviera all’Aja, pitture murali delle quali non è rimasta traccia. Il Filarete, nel suo “Trattato di Architettura” (1460), lo ricorda come autore di decorazioni pittoriche d’interni.
Con Van Eyck nasce il ritratto moderno, “al naturale”, non più di profilo alla maniera classica, ma di tre quarti, in cui appaiono tutte le caratteristiche somatiche del personaggio insieme alle sue doti interiori e all’indicazione dello stato sociale. I volti, contro uno sfondo scuro, sono illuminati da una sorgente luminosa nella parte esposta al riguardante, con effetti di evocazione magica e di ieraticità, come nelle icone orientali, i suoi ritratti sono “intensamente presenti e infinitamente lontani”, come li definisce un grande studioso belga. L’estremo realismo della descrizione fisionomica si dissolve paradossalmente nella astrazione e nella atemporalità.
Nella pittura fiamminga i ritratti potevano essere di devozione – insieme al Santo protettore ed eponimo - o indipendenti, Van Eyck realizzò ritratti quasi esclusivamente indipendenti che avevano lo scopo di fissare i tratti del personaggio, per essere offerti in dono o per ricordare un evento straordinario: matrimonio, partenze, ascesa al trono o investiture. Con le scritte, che consistevano nella firma del pittore, data e nome del personaggio sulla cornice, che era parte integrante del dipinto, questo tipo di ritratto diventava una vera “presenza parlante”. Nel ritratto, quasi sempre a mezzo busto un po’ ridotto, il personaggio mostra oggetti particolari quali lettere, pergamene o anelli, dalla forte valenza simbolica.
I ritratti di Van Eyck, nei quali la verità del tratto somatico è semplice riflesso dell’immortalità dell’ anima, ricordano i ritratti “ideali” dei Santi di Magister Theodoricus nella cappella della Santa Croce nel Castello di Karlstein in Boemia, lo confermano le sue cornici marmorizzate che sono citazione delle “pietre viventi” della Gerusalemme Celeste, dipinte come sostegno dei ritratti nella cappella imperiale. Una testimonianza in più di un possibile viaggio del pittore fiammingo attraverso l’Europa.
Conosciamo, grazie alla letteratura artistica, anche molte opere di Van Eyck che però nel tempo sono andate perdute, fra queste c’era il trittico con “l’Annunciazione”, detto “Trittico Lomellino”, dalla famiglia dei mercanti genovesi che l’aveva acquistato nelle Fiandre. Questo trittico fu il primo dipinto fiammingo ad arrivare in Italia ed ebbe una storia incredibile, affascinante. Lo storico Bartolomeo Facio ci narra che il re di Napoli, Alfonso V il Magnanino, lo pretese dalla Repubblica di Genova in cambio di particolari privilegi e che il proprietario Lomellino fu costretto a portarlo personalmente da Genova a Napoli, via mare, con un viaggio la cui descrizione è metafora del suo stato d’animo. Di questo dipinto si sono purtroppo perse le tracce.
Le opere di Van Eyck rimaste, alcune delle quali hanno piccole dimensioni, quasi da miniatura, si dividono in: ritratti, “épitaphe”, ossia tavole destinate alle cappelle funerarie di personaggi illustri, e quadri di devozione, dai grandi polittici ai piccoli dittici e trittici.