Le Nozze Arnolfini - dettagli
LE NOZZE ARNOLFINI, 1434 - Olio su tavola, cm 81 x 59
Londra, National Gallery
articolo in rete, da EOS n.17, 2007
Il magnifico doppio ritratto, nel quale il forte realismo di ogni dettaglio deve essere letto in chiave simbolica, è l’esaltazione dell’amore e della fedeltà coniugale, ma è anche un documento ufficiale del matrimonio fra Giovanni Arnolfini e Giovanna Cenami, come è orgogliosamente confermato dall’Autore che lascia la sua firma di testimone al centro del quadro. Questo dipinto forse faceva parte di un dittico la cui anta mancante era una maliziosa rappresentazione dell’amor profano; fu eseguito per le nozze del ricco mercante-banchiere lucchese, trasferitosi da Parigi a Bruges, Giovanni Arnolfini, con Giovanna, Jeanne, Cenami, anch’essa di ricca famiglia lucchese, legata in modo un po’ misterioso, alla famiglia reale francese. Gli sposi appaiono quasi come un’evocazione magica nella loro camera nuziale, l’abbigliamento lussuoso e gli arredi della stanza confermano che ci troviamo di fronte a due personaggi di elevata posizione sociale. La fragile e timida ragazza che affida la sua mano a quella dello sposo con un atto di fidente abbandono e di totale fiducia, è vestita con un pesante e ricco abito foderato di pelliccia che, agli occhi di qualche sbadato critico d’arte, l’ha fatta apparire incinta. In verità quello era l’abito inventato dalle dame della corte francese, e Giovanna faceva parte di quella corte, per nascondere le gravidanze sospette di una Regina piuttosto vivace. Van Eyck veste allo stesso modo anche Sante Vergini e Martiri. E poi, è storia, gli Arnolfini non ebbero figli.
Ogni oggetto posto nella camera nuziale, che già è in sé potente forma simbolica, ha un suo significato preciso legato al matrimonio e alla fedeltà coniugale: dal cagnolino in primo piano, alle pantofole di seta, agli zoccoli di legno, al candelabro e allo specchio convesso posto al centro della scena. Questo specchio, moltiplicando la visione nel gioco dei rimandi, permette di scorgere, oltre le sagome degli sposi visti di spalle, due personaggi visti davanti, forse un notaio e lo stesso Van Eyck. La realizzazione dello specchio nel centro ottico del dipinto è invenzione geniale di questo pittore che può così creare una duplice realtà virtuale, dilatando lo spazio all’infinito. Tutta la gabbia prospettica che si sviluppa intorno, non ha però origine da un punto, come nella prospettiva dei contemporanei artisti fiorentini, bensì da una linea centrale come nella pittura del ‘300 senese. Lo specchio convesso entrò allora, con differenti valenze, nella pittura fiamminga dal Maestro di Flémalle ad Hans Memling, fino alla sua espressione più solenne nel rimando delle immagini del Re e della Regina di Spagna nel dipinto “Las Meninas” di Velasquez al Prado.